mercoledì 17 settembre 2014

dal taccuino di Martina (quello di agosto 2014)

Riccio Pasticcio stava attraversando la strada tutto da solo, le macchine lo scansavano sotto i miei occhi terrorizzati da quello che sarebbe potuto accadere se Riccio Pasticcio fosse stato preso. Ma in realtà non sapevo se le macchine e tutti gli altri mezzi scansavano lui o se volevano scansare me, che mi vedevano con quello sguardo, ferma sul ciglio della strada, fermato il motorino in uno stato vacillante, ma quello mi offriva la strada al margine: una stabilità poco credibile. Eppure una forza mi portava a raccogliere Riccio Pasticcio, lungo poco di meno del mio indice, augurandomi di non essere a mia volta sbiaccicata (come dico io). È passata una macchina che mi ha urlato dal finestrino aperto: “prendilo!” … facile fare il gay con le parrucche altrui … ma è andata bene. L’ho preso, il cuore gli batteva forte, lo sentivo fra le mie mani attraverso la sua corazza di aghi, dolorante proporzionalmente alla sua grandezza. 
Così l’ho messo nel bauletto del motorino e siamo andati a lavoro. Così lo abbiamo messo in una bacinella con accanto un piatto con l’acqua che Riccio Pasticcio ha bevuto varie volte. Gli abbiamo dato anche un pezzettino di prosciutto che Riccio Pasticcio ha mangiato con voracità. Poi quando ha capito che nessuno gli avrebbe fatto del male, ha iniziato a prendere forza ed arrampicarsi fino al bordo della bacinella. Abbiamo capito tutti che voleva la libertà. E così è stato … lo abbiamo posato nel prato del nostro Centro, se ne è andato zampettante e non lo abbiamo più visto.


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